Sui giornali, in tv, sulla rete, è già sbarcata, anche diffusamente. Ma la sensazione è che la diplomazia del taekwondo possa varcare anche la soglia della storia. Naturalmente bisognerà aspettare, dovranno passare degli anni prima di saperlo.

Ma andiamo con ordine.
Tutto comincia nei giorni di PyeongChang, Olimpiadi invernali, Febbraio, freddo cane, giornate sotto zero, a volte molto sotto zero. Un clima che, diciamoci la verità, non ti mette una gran voglia di metterti in dobok e cominciare a esibirti nello stadio Olimpico. Ma in Corea, Sud o Nord non cambia, questa arte marziale è una specie di religione, un mito come il calcio da noi, il baseball a Cuba o il rugby in Nuova Zelanda. E allora nessuno stupore se anche nei Giochi Invernali, il taekwondo si è preso la scena. In realtà era successo anche nel 1988, a Seoul, in occasione dell’Olimpiade estiva. La cerimonia era cominciata con centinaia di combattimenti in simultanea, un oceano bianco prima delle gare, un’onda verso il futuro visto che soltanto 12 anni più tardi questa disciplina avrebbe fatto stabilmente il suo ingresso nel programma olimpico.

Trent’anni dopo, dunque la storia si è ripetuta. Proprio un’esibizione Nord/Sud è stata la prima scena della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici invernali, una specie di immagine apripista, il filo conduttore di questo grande tentativo di pace costruito nella lunga vigilia olimpica. Ma la scena il taekwondo se l’è presa in diversi palcoscenici, anche a Casa Italia, dove proprio il giorno dopo la cerimonia d’apertura, le due Coree, le due federazioni internazionali, Sud e Nord, si sono ritrovate per un’esibizione della pace. C’erano due atleti del Nord, poche parole e un’imbattibile timidezza. Che si sono mischiati con quelli del Sud. Un mosaico complicato, i tasselli che non finiscono mai, a cura di Angelo Cito, il Presidente Federale, che ci ha creduto all’evento nonostante tutte le difficoltà. E che ha rispettato la promessa fatta al Presidente del Coni, Malagò: “Ce la faremo”. Una mattinata che ci ha messo in qualche modo al centro del mondo, a poche ore dalla storica cerimonia del giorno prima, quella in cui le due Coree avevano sfilato insieme dietro il vessillo bianco che raffigurava la loro penisola, quella penisola fatta di un incubo che non è ancora finito: una guerra finita con una tregua nel lontano 1953, ma ancora senza pace, una frontiera delicatissima, un dialogo faticosissimo, spesso spezzato da test missilistici e minacce nucleari.

Però a Casa Italia la storia non è finita con qualche stretta di mano protocollare. In qualche modo, il taekwondo non è diventato soltanto uno strumento di pace, ma una metafora del complicato dialogo fra Coree in una zona dove si concentrano le potenze che governano il mondo: gli Stati Uniti con i loro 30mila soldati, la Russia, la Cina, vicine di casa. Mario Pescante, uno che alla tela dell’accordo olimpico ha lavorato parecchio negli ultimi mesi, ha detto chiaramente ai presidenti delle federazioni internazionali del taekwondo, quella olimpica (il sudcoreano Choe Chung Won) e quella non olimpica (Ri Yong Son), che un accordo fra di loro per giungere a un organismo unico darebbe un contributo fondamentale alla causa della pace, ma anche alla popolarità del taekwondo nel mondo, alla sua capacità di resistere a “concorrenze” disciplinari molto temute, come quella del karate che diventerà sport olimpico nel 2020 a Tokyo. Insomma, la “diplomazia del taekwondo” ha ancora tante cose da fare…

Tuttavia forse c’è un altro messaggio che ci regala questa esperienza. Certe volte abbiamo un’idea della parola sport ridotta, limitata, angusta. Non ci rendiamo conto di quanto potenziale nasconda. Soprattutto ci dice quant’è grande il mondo, e quanto è importante conoscerlo, scoprirlo, con i suoi mille colori, i suoi gusti sportivi così diversi da una latitudine all’altra e le sue lingue universali. Un piccolo inciso personale. Pochi giorni dopo i giorni vissuti in Corea, ci è capitato di ritrovarci in una palestra nei dintorni di Roma. Un istruttore appassionato, un impianto tenuto bene, i ragazzi più grandi già “svezzati” da anni di allenamenti, i bambini a gattonare e sfrecciare prima dei primi rudimenti. Anche questo, abbiamo pensato, è taekwondo, questo come quello di PyeongChang, dello stadio Olimpico e di Casa Italia. E questa connessione (parola fondamentale nella Corea ultra-digitale che ha i collegamenti a internet più veloci al mondo) fra tregua olimpica e passione sportiva sotto casa, ci ha messo di buon umore.

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