Corea del Nord: a Pyongyang con un messaggio di unione
Testo di Angelo Cito, Presidente FITA
Guardavo fuori dal finestrino, cercando di scorgere qualcosa che potesse anticipare quello che di lì a poco avrei visto da vicino. La curiosità, molta. Per quello di cui avevo sentito parlare in tante occasioni e che per la prima volta stavo per toccare con mano.
Il nome della compagnia aerea è molto familiare, Koryo!
Il nome di una antica dinastia che regnava sulla penisola nordcoreana e la unificò e che ha dato il nome anche al poomsae del taekwondo.
Incredibile, penso. Sono trascorsi molti, moltissimi anni. Era un Paese unito. Gli interessi, le guerre, la follia umana… Quell’aereo ribattezzato Koryo dalla dittatura di Kim, mi stava portando proprio in un mondo oggi diviso. Non solo da chi un tempo ne condivideva politica, cultura e obbiettivi ma, di fatto, da tutto il mondo. Forse sarebbe più corretto dire isolato. Lo avrei potuto capire meglio nei 5 giorni di soggiorno che mi attendevano a Pyongyang.

In realtà poche ore prima avevo già vissuto un episodio che dava un’idea ben precisa di ciò che sarebbe stato. All’aeroporto di Pechino – scalo obbligato per raggiungere la Corea del Nord – ci avevano infatti “invitato” a consegnare tutti gli apparecchi di comunicazione che avevamo con noi: telefonini, tablet e pc. Solo il tempo di avvisare la famiglia. Poi, ci avrebbero dato forse loro la possibilità di comunicare. Lo avrei scoperto nel giro di poco tempo.
L’aereo atterra dopo meno di due ore di viaggio: finalmente arrivati!
Siamo qui con un obiettivo ben preciso, compiere un altro passo del processo di pace iniziato grazie al taekwondo due anni prima, quando ci fu il primo contatto tra la federazione mondiale WT e quella nordcoreana ITF. L’idea allora era quella di far partecipare gli atleti di Pyongyang all’attività della WT e dar loro la possibilità di una eventuale partecipazione ai giochi Olimpici ma la cosa è molto più complessa di quello che si può credere.
Fermarsi? Mai. Perché se c’è una cosa che unisce ancora oggi le due Coree, questa è il taekwondo. E se c’è uno strumento di riavvicinamento tra due popoli lontani, questo è lo sport. Ce lo insegna la storia, dalla Guerra Fredda o oggi. Ce lo ha insegnato Nelson Mandela: “Lo sport ha il potere di unire le persone come poco altro può. Lo sport può creare speranza dove una volta c’era solo disperazione. Lo sport abbatte le barriere razziali. Ride in faccia di tutti i tipi di discriminazione. Lo sport parla alla gente in una lingua che si possa comprendere”.
Il passaggio fondamentale è stato quello delle Olimpiadi invernali di Pyeongchang in Corea del Sud. Questa volta dalle parole si passa ai fatti. Il lungo lavoro diplomatico durato mesi e mesi, che ha visto protagonista il presidente della WT, Chungwon Choue, insieme al membro del CIO della Corea del Nord, Chang e il presidente del CIO Bach, sfocerà per iniziativa del sottoscritto in un invito di entrambe le delegazioni (Nord e Sud) a Casa Italia per un’esibizione davanti a decine di giornalisti e media internazionali.

Il programma prevedeva inizialmente la loro presenza a Casa Italia per una ventina di minuti. Ma alla fine i ragazzi della Corea del Nord e la loro delegazione rimangono per circa tre ore.
Abbiamo pranzato tutti insieme in un’atmosfera surreale e straordinaria. Ricordo gli sguardi persi, la freddezza, il disorientamento iniziali. Era evidente che si trovavano in una situazione che non sapevano bene come gestire. E alla fine un segnale importantissimo di distensione: la sorella del leader nordcoreano Kim Jong-un invita il presidente sudcoreano Moon Jae-in a partecipare a un summit a Pyongyang. È forse la medaglia più bella di quei Giochi.
Quel giorno rimarrà una pietra miliare nei rapporti delle due delegazioni, nessun Paese era mai riuscito a farli incontrare e sopratutto farli stare insieme in modo conviviale.
Ora tutto è possibile, il sogno diventa sempre più grande.
Avevamo sperato e pensato di avere una loro delegazione al Grand Prix di Roma e nella stessa settimana in udienza da Papa Francesco che era stato informato di ciò che era accaduto dal suo rappresentante ai Giochi olimpici, presente anche lui a Casa Italia.
Il Papa ci ha spronato a continuare su questa strada affinché il dialogo continuasse. Ma a causa delle tensioni di quei giorni con gli Stati Uniti, Pyongyang non ha rilasciato, per questioni di sicurezza, il visto agli atleti per lasciare il paese.
In seguito a tutto questo si buttano le basi per un progetto straordinario, quello del viaggio in Corea del Nord, da farsi entro la fine del 2018, di una delegazione composta della WT da alcuni rappresentanti del governo della Corea del Sud e il sottoscritto, invitato a farne parte con mia grande sorpresa.
Appena scesi dall’aereo, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo.
Una di quelle scene che si vedono nei film in bianco e nero. Un aereo solo in pista – il nostro – e ad attenderlo un gruppo di giornalisti. Poco distanti dei pulmini, dalle linee più vicini a quelle degli anni ’60 che a quelle dei giorni nostri. Saliamo a bordo e dopo pochi minuti entriamo nella capitale.
Grandi edifici, grattacieli, ampie strade ma pochissime macchine, poche bici e non molte persone a piedi. Tutto sembra perfettamente ordinato. Le diverse tonalità del grigio si alternano a edifici colorati e moderni: a fare da sfondo i monumentali edifici storici perfettamente conservati. Le vie limitrofe al nostro percorso, chiuse e noi sotto scorta.
Ma, al contrario di quanto accade normalmente, la forte sensazione è che, in questo caso, si voglia evitare ogni contatto per proteggere i padroni di casa piuttosto che gli ospiti.
Arriviamo al Yanggakdo hotel. Consegnamo i passaporti e ci viene detto che dopo la registrazione possiamo ritirarli. Ma scopriremo poi che solo alla fine del soggiorno sarà possibile riaverli. Abbiamo la necessità di avvisare le famiglie che siamo arrivati, chiediamo di chiamare. Ma nelle prime 48 ore viene concesso solo a me di fare una telefonata. In ascensore, scopriamo che curiosamente nella tastiera manca il pulsante che indica il quinto piano. E ci viene detto che è una zona off limits. A quell’albergo e a quel piano è legata la triste storia di uno studente americano che pochi anni prima aveva ignorato il divieto. Non solo. Arrivato dalle scale al quinto piano, aveva tolto dal muro una locandina raffigurante Kim. Il giorno dopo era stato arrestato all’aeroporto e dopo due anni rilasciato in condizioni di salute ormai compromesse al punto che dopo 7 giorni morì. L’impatto quindi è abbastanza “forte”.
Il programma è stabilito. Visiteremo in particolare le loro scuole e il quartiere dedicato allo sport. I nordcoreani danno molta importanza all’insegnamento delle arti, delle scienze, della fisica, dell’architettura, della matematica sin dai primi anni di scuola. A partire da quelle che sono le nostre elementari.

Negli spostamenti la curiosità per quello che via via vediamo, ci porta a fare domande a chi ci accompagna. Io forse sono il più fortunato della comitiva e trovo una ragazza disposta a rivelare qualcosa. Scopro che ha “viaggiato”: una volta è uscita dalla Corea del Nord per andare in Cina. Molto più rigido l’uomo che segue il presidente Chungwon Choue che a domanda risponde: “Prima di andare altrove, devo conoscere il mio Paese”.
Apprezzate le esibizioni di giovanissimi musicisti e ballerini, arriva il momento di diventare protagonisti. Sono due gli appuntamenti sportivi previsti in agenda. Due esibizioni che vedono protagonisti gli atleti del Demo Team della WT e quelli della ITF. La zona dedicata allo sport somiglia più a una piccola città che a un quartiere. Un po’ come quelle che vengono realizzate in occasione delle Olimpiadi. Ci sono diversi palazzetti, ognuno riservato a una disciplina. Quello del taekwondo è il più grande. Ed è qui che arriviamo, come sempre scortati. Gli spalti sono tutti occupati da persone che sono state accompagnate con alcuni pullman e fatte entrare prima del nostro arrivo. È tutto ordinato. Persino gli applausi. Più forti quelli riservati ai ragazzi della ITF. A seguirli e a seguirci, ci sono sempre i giornalisti e le telecamere delle televisioni. Grande spazio alla nostra presenza viene dato nei notiziari dei tre canali della televisione.
La tv in Corea del Nord è questa: tre canali, due dei quali ogni tre ore vengono oscurati per lasciare campo libero ai notiziari in cui il regime magnifica il proprio operato. A seguire il nostro viaggio, c’è anche la troupe della tv nazionale sudcoreana. Solo a lei viene concesso di riprendere e di trasmettere da Pyongyang, anche se per avere a disposizione una linea bisognava obbligatoriamente salire fino al 40esimo piano dell’Hotel al termine di ogni giornata, tipo gli inviati di guerra per intenderci quando devono cercare il segnale per tramettere via radio.
C’è qualcosa che unisce la Corea del Nord all’Italia? Sì, c’è.
E, nemmeno a dirlo, è il cibo. A Pyongyang scopro che ci sono ben 3 ristoranti italiani. Almeno per quanto riguarda il menù offerto, visto che a gestirli sono i nordcoreani che, sembra, sono stati spediti nel nostro Paese per apprendere i segreti di pizza e pasta. Lancio una provocazione sapendo già la risposta: “Se siete d’accordo vi offro una cena presso uno di questi ristoranti”. La risposta è stata un “no” che non lascia spazio e repliche. “Non è possibile, non è previsto dal programma” mi viene detto.
Ma subito dopo arriverà la promessa che per la prossima volta che sarò loro ospite organizzeranno una cena presso il ristorante italiano per farmi assaggiare la loro pizza.
Questo, forse, è stato l’episodio più significativo per comprendere la situazione reale in cui vive attualmente questo popolo.
Cinque giorni che resteranno indimenticabili per me. E che mi auguro possano restarlo anche nella storia del riavvicinamento di due Paesi stanchi di vivere un armistizio armato.
Perché per tutti noi, la pace vale più di qualsiasi trionfo.
